Questa frase, tratta dalla Passio di Santa Cecilia, è in realtà frutto di un errore di trascrizione. Cecilia non stava qui, come pensavano i medievali, cantando la sua purezza verginale (il testo della Passio dice “cor et corpus”) nel giorno del suo “matrimonio bianco” con il marito Valeriano tra l’allegra armonia di organi – strumenti musicali già in uso tra i romani antichi.
La dizione corretta nei manoscritti più antichi, probabilmente sconosciuti ai medievali, era: “Candentibus organis….”: “mentre si arroventavano gli strumenti – sottinteso: di tortura”! Siamo in un contesto ben diverso: Cecilia continua a cantare (decantabat) la sua immacolatezza nel momento supremo del suo martirio.
Comunque sia, proprio questo riferimento, la rese col tempo fortunata protettrice dei cantanti e dei musicisti.
L’organo della Pieve di Barberino di Mugello, collocato in una semplice cantoria in controfacciata, risale all’anno 1827 ed è opera di Giacobbe Paoli, esponente della celebre famiglia di organari Paoli di Campi Bisenzio. Lo strumento fu costruito col riutilizzo anche di parte del materiale fonico di uno strumento precedente risalente alla prima metà del cinquecento e ingrandito con aggiunte alla parte fonica alla fine del ’700. L’organo, inizialmente nato per la Chiesa di Orsanmichele di Firenze, fu trasportato a Barberino nel 1935; è stato restaurato dall’organaro Formentelli alla fine degli anni ’70 del secolo scorso ed ha avuto un intervento di manutenzione e revisione durante l’estate del 2015 ad opera dell’organaro Riccardo Lorenzini. Il 20 settembre 2015, giorno del’insediamento del nuovo Pievano, don Stefano Ulivi, è tornato a lodare il Signore.
È collocato in una cassa rinascimentale autonoma in forma di “Ara”, con ai quattro angoli colonne rudentate sormontate da capitelli corinzio-rinascimentali. La facciata, a cuspide centrale e ali laterali, è divisa in tre campi (9-15-9), con paraste intagliate e dorate; il cappello è sormontato da uno scudo ottocentesco con le iniziali dell’Opera di Orsanmichele e ai lati festoni intagliati e dorati.
Le canne di stagno di facciata appartengono al registro del Principale (da Sol1 a Mi4).
Disposizione fonica
Tastiera “a finestra” di 47 tasti (Do1-Re5, prima ottava corta) (ricostruzione Formentelli) con n.9 canne di Bassi 8’ in legno sempre inserite
(collegate con la prima ottava della tastiera nel corso del restauro Formentelli, in origine corrispondenti all’estensione di n.9 tasti della pedaliera originale Paoli.)
Pedaliera “a leggìo” di 18 tasti, (ricostruzione Formentelli) con prima ottava corta e dotata di:
Pedaliera sempre unita alla tastiera e inseribile a tampone.
Registri azionabili mediante tiranti a pomello disposti in due colonne a sincope a destra della tastiera (ricostruzione Formentelli)
Principale Bassi
Principale Soprani
Ottava
Quintadecima
Decimanona
Vigesimaseconda
Vigesimasesta
Vigesimanona
Contrabbassi
Tira Pieno
Divisione Bassi/Soprani: Mi3/Fa3
Trombe Soprani
Trombe Bassi
Oboé Soprani
Clarone Bassi
Flauto Traverso Bassi
Flauto Traverso Soprani
Flauto in Ottava
Nasardo Soprani
Cornetto Soprani
Decimino Bassi
Decimino Soprani
Voce Umana
La3 Corista 439 Hz a 28°C (= 433,40 Hz a 20° C).
Temperamento del tono medio evoluto.
Somiere maestro, a tiro e relativi crivello e catenacciatura. (G. Paoli)
Somiere dei bassi a tampone diviso in due sezioni (la sezione maggiore G. Paoli, la sezione minore novecentesca).
Due mantici a cuneo azionabili mediante elettroventilatore (ricostruzione Formentelli). Pressione del vento: 54 mm di colonna d’acqua.
La specifica dei registri ci dimostra come nell’organo siano confluite parti ben più antiche rispetto alla fattura ottocentesca. Infatti, se il Principale (in stagno), i registri di ripieno di Ottava, Vigesimasesta, Vigesimanona (in piombo), le Trombe in banda (di latta stagnata) e i Contrabbassi 16’ e i Bassi 8’ sono di fattura Giacobbe Paoli, le prime 20 canne (parte di piombo e parte di stagno) degli altri registri componenti il ripieno (Quintadecima, Decimanona, e Vigesimaseconda) sono riconducibili al frate domenicano di Santa Maria Novella Bernardo D’Argenta, attivo come organaro a Firenze nei primi decenni del ‘500. Le rimanenti canne di questi registri sono attribuibili al Paoli. Anche le canne del Flauto in Ottava (in piombo e reale da Do2) sono canne antiche, riconducibili alla prima metà del 500’, mentre il raddoppio del Principale di piombo da Fa3, il Cornetto e il Nasardo (in piombo) risultano di fattura di Pietro Agati, celebre organaro pistoiese della seconda metà del ‘700. Gli altri registri risultano ricostruiti e rielaborati durante il restauro di Formentelli.
Il recente lavoro di manutenzione è consistito principalmente in un’approfondita ripulitura dell’intero strumento, nel recupero di una pressione del vento adeguata rispetto a quella eccessiva presente fino ad ora, e nella conseguente revisione dell’intonazione e ripristino dell’accordatura dell’intera componente fonica.
La Chiesa di S. Silvestro viene citata per la prima volta in un documento nel 1037 che descrive il vasto Piviere di S. Gavino Adimari comprendente quasi tutto il territorio della comunità di Barberino con le contee di Mangona e dello Stale con, sotto di sé, venti chiese suffraganee tra cui appunto anche San Silvestro a Barberino. Essendo impossibile individuare una data precisa riguardo alla nascita della prima Chiesa, si deduce in maniera approssimativa che essa sia stata edificata prima del mille, grazie ai contadini del luogo. Nel 1547 alcuni benemeriti barberinesi pagarono una tassa commisurata ai beni in loro possesso, finalizzata alla costruzione della nuova Chiesa. L’edificio fu costruito lungo il tracciato stradale su cui è attestato l’antico abitato di Barberino. Si presume che la forma originaria fosse costituita da un’aula unica coperta a capriate costruite con legno fornito dall’abetaia dei Bardi di Vernio. Nel 1642 la chiesa di San Silvestro, seppur ancora suffraganea della Pieve di San Gavino Adimari, fu proclamata Prioria e dotata del fonte battesimale. Del 1672-73 la costruzione del campanile. Nel 1815 la Chiesa fu ampliata con l’aggiunta del porticato in facciata di stile neoclassico con architrave e frontale sostenuti da due colonne. Le capriate lignee del soffitto vennero coperte da uno “stoiato”, rimosso negli anni 60. Nel 1822 sia a seguito della difficoltà di raggiungere la chiesa pievana di San Gavino Adimari da parte dei parroci suffraganei e su istanza dei barberinesi stessi, con il consenso della famiglia dei Cattani padroni di tale edificio, la Prioria di San Silvestro venne dichiarata Pieve. Ulteriori lavori di abbellimento dello spazio interno della chiesa furono eseguiti nei primi decenni del Novecento con la messa in opera di quattro altarini nelle cappelle laterali realizzati dalla bottega Chini di Borgo San Lorenzo. Incisivi lavori di restauro furono condotti nei primi anni ‘60 e agli inizi del XXI secolo.
L’interno della chiesa contiene alcune opere importanti di Galileo Chini, insigne pittore, ceramista e scenografo, protagonista dello stile liberty italiano. Di notevole pregio il rosone e le vetrate in stile liberty provenienti dalla fabbrica Chini.
L’opera più importante della chiesa è senza dubbio la pala con la Crocefissione e Santi che si trova nell’abside, un dipinto su tavola attribuito a Bartolomeo di Giovanni e risalente al 1500 circa. L’artista, formatosi alla scuola del Ghirlandaio e suo stretto collaboratore, lavorò a Firenze fino al 1501 nella cerchia di Filippo Lippi e Sandro Botticelli.
Su un delicato sfondo rupestre si staglia il Cristo in croce, attorniato da figure di santi recanti ognuno il proprio attributo: San Sebastiano con la palma, simbolo del martirio, San Pietro con la chiave, Sant’Andrea con la rete della pesca miracolosa e il vescovo fiorentino San Zanobi. In ginocchio, altre due figure: la Maddalena addolorata che abbraccia la croce e il committente del quadro, il canonico Pandolfo di Urbano Cattani, che prega con la berretta in mano. L’opera proviene infatti dalla chiesa di Sant’Andrea a Camoggiano, da secoli patronato dei Cattani, come indica lo stemma visibile alla base della croce. La pala d’altare comprendeva in origine altri tre piccoli scomparti raffiguranti Il martirio di San Sebastiano, Sant’Andrea che salva un vescovo dal peccato e la Resurrezione: i primi due si trovano oggi presso la Walker Art Gallery di Liverpool, mentre la Resurrezione risulta dispersa. Lo smembramento di questa importante opera di Batolomeo di Giovanni avvenne già nei primi anni del ‘900: le tavolette della predella finirono sul mercato antiquario, mentre la Crocefissione venne trasferita nel 1908 al museo fiorentino di San Marco. Gravemente danneggiato dall’alluvione del 1966, nel 1998 il dipinto è stato restaurato e poi collocato dietro l’altare maggiore della pieve di San Silvestro. Tramite riproduzioni degli originali, l’aspetto che la pala doveva avere quando ancora esposta nella chiesa di Camoggiano è ora stato ricostruito – dopo oltre un secolo – grazie all’interessamento di Roberto Marcori e alla collaborazione e le ricerche iconografiche della dott.ssa Valentina Bravin.
Opere di Bartolomeo di Giovanni si trovano nei musei di New York, San Francisco, Filadelfia, Toronto, Baltimora, Londra, Liverpool, Cambridge, Kassel, Monaco, Dresda, Lilla, Avignone, Roma, Città del Vaticano, Firenze ed in numerose chiese italiane.