La Collezione Firenze – Ada Cullino Marcori è il frutto della donazione di 28 vedute di Firenze alla Fondazione Spadolini Nuova Antologia, fatta da Roberto Marcori nel 2014 in memoria della madre e del fortissimo legame di lei con la sua città di adozione. Le 27 stampe e il dipinto oggetto della donazione rimarranno, per volontà dello stesso Roberto, esposte in perpetuo nelle sale della biblioteca della Fondazione.
La raccolta consta di opere assai diverse per epoca, provenienza, tecnica, destinazione e livello qualitativo ma che, proprio in virtù delle loro differenze, riescono a riassumere ed esemplificare ben quattro secoli di rappresentazione urbana in tutte le sue possibili accezioni.
L’interpretazione medievale della veduta, frutto di idealizzazione piuttosto che rappresentazione di una realtà fisica, è esemplificata dalla xilografia del 1535 tratta dal Supplementum Chronicarum di Jacopo Filippo Foresti, mentre ritroviamo la veduta rinascimentale, intesa come costruzione scientifica che si avvale della prospettiva e della matematica oltre che dell’osservazione dal vero, nelle opere di Francesco Valegio e di Jodocus Hondius il Giovane, risalenti al 1579 la prima e al 1626 la seconda.
Alcune delle stampe della collezione sono ricordi di viaggio di artisti o intellettuali, come nel caso delle vedute del francese Israël Silvestre, disegnatore e incisore presso la corte del Re Sole, oppure tratte dai primissimi esempi di guide turistico-culturali dell’Italia, testimonianza della crescita di interesse degli stranieri per la città di Firenze, che si avviava a diventare una delle capitali del grand tour.
Fu proprio all’acme di questo fenomeno di respiro europeo, nel Settecento, che la rappresentazione urbana diviene “veduta”, nel senso di un’immagine non funzionale a un particolare argomento, che fosse militare, geografico o culturale, ma prodotta al solo scopo di supportare la memoria di una visita o di mostrare al pubblico, con fine didattico, la bellezza di un luogo. Massima espressione del vedutismo fiorentino, le splendide tavole di Giuseppe Zocchi contribuirono a diffondere ulteriormente la fama di Firenze nei principali paesi europei, principalmente tramite le innumerevoli riedizioni eseguite e vendute in patria da incisori stranieri, di cui la collezione include alcuni interessanti esempi.
L’Ottocento si apre con le tavole tratte dalla grande opera didattica di stampo illuminista di Francesco Fontani, il Viaggio Pittorico della Toscana (1801-1803), eseguite da Antonio Terreni e Giuseppe Pera. Le stampe di questo complesso periodo, realizzate con varie tecniche, dall’acquatinta al bulino, dall’acquaforte alla litografia, obbedivano a differenti esigenze editoriali e di mercato, da quella documentaristica, alla propagandistica, a quella più squisitamente turistica. Il loro livello qualitativo è ugualmente vario e dipende in massima parte da ciò che oggi verrebbe definito il target. I soggetti raffigurati si moltiplicarono e ai tradizionali se ne aggiunsero altri, magari legati alla vita contemporanea e ai nuovi scorci di una città in evoluzione. Nuovi temi, nuove tecniche, nuove interpretazioni della veduta che rispondevano prima di tutto alle esigenze di un pubblico di estimatori e viaggiatori che diventò nel corso del secolo sempre più vasto e dalla cui domanda ormai dipendevano incisori e artisti. Così fu per gli autori delle opere ottocentesche della raccolta, da quelli rimasti sconosciuti, come il pittore della bellissima veduta di Firenze realizzata a guache a metà secolo, all’austriaco Dominik Perlasca, al genovese Luigi Garibbo, al veneto Marco Moro.
Infine, il Novecento, con le opere di artisti – Guido Colucci, Marina Battigelli e Francesco Chiappelli – per i quali la veduta è un qualcosa di autonomo, un puro motivo pittorico in cui lo scorcio urbano o la veduta sono una proiezione dell’io dell’artista, qualcosa di intimo, un moto centripeto di appropriazione della realtà che lo circonda.
La Collezione Firenze – Ada Cullino Marcori riesce dunque, con le sue 28 opere, a ricostruire la complessità della genesi e della storia di “quella certa idea di Firenze”, concetto caro a Giovanni Spadolini, il fondatore, non a caso, di quella Fondazione che la custodisce oggi nelle sue sale.
Valentina Bravin